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Lettera ad un imprenditore nel Nord-Est
http://www.adaptive.it/ph/fineoil.htm
by Bruno Caudana 08-FEB-2005
Copyright © 2005

Mi chiedi: "Cosa si può fare?"

RISPOSTA BREVE, che condensa il mio pensiero sulla questione Cina:

Con un paese che riesce a fare per noi le scarpe, il tessile, gli utensili, le stampanti, i computer e riesce di suo a mandare in orbita satelliti con lanciatori suoi progettati da se stesso e si fa le bombe atomiche e sa formare i suoi tecnici e si offre per fare per tutto il mondo il lavoro sul DNA dei morti di tsunami, la competizione possibile è SOLO sul costo del lavoro a qualunque livello di specializzazione e di competenza. Possiamo competere?

[...]

Circa il merito, concordo con quanto dice Lorenzo. Fare AZIONE CRITICA sui concetti usati per dare giudizi sulle cose che guidano le azioni (questioni politiche, comportamenti individuali, ecc.) è LA AZIONE propria del lavoro intellettuale, soprattutto quando sono in corso di cambiamento TUTTI i riferimenti e i presupposti del pensiero morale ed economico moderno. Va ricordato che il pensiero economico moderno è prodotto dalle riflessioni di filosofi morali dell'illuminismo inglese di cui Adam Smith era un esponente, in primo luogo come filosofo morale. E filosofia morale è il pensiero di Smith in toto. Non va dimenticata questa origine del pensiero economico moderno in quanto filosofia morale dell'illuminismo. Rivedere alla radice la consistenza e la affidabilità del pensiero etico/morale (cioè del pensiero che tradizionalmente riflette sui comportamenti umani e pretende di orientarli) è, per quanto riesco a capire, la base per guardare con luce diversa l'agire degli uomini anche nelle attività economiche.

Se il mondo fosse fisicamente Smithiano (o Cristiano) allora l'interpretazione delle questioni economiche potrebbe forse essere fatto con l'attuale pensiero economico o con la dottrina sociale della chiesa cattolica. Ma se il mondo è Darwiniano, come io penso, allora le questioni sono diverse e quelle categorie non funzionano più quando si incontrano i limiti delle risorse fisiche, come il Peak Oil prefigura.

Parzialmente antitetico al pensiero illuminista sulle questioni morali c'è un radicato Razionalismo cristiano e islamico che è diretta continuazione della tradizione Aristotelica (appena un po' mediata da S. Tommaso d'Aquino, per quanto riguarda il cristianesimo). Questo pensiero è in rotta di collisione con il pensiero illuminista-utilitarista proprio sulle questioni di dove stia fondata l'etica. E devo dire che di fronte a quel pensiero aristotelico e neo-tomista, il pensiero illuminista deve cedere il passo proprio a causa della sua debolezza nel definire il concetto di "essere umano" o "persona" (concetto che comincia ad essere introdotto da Severino Boezio nel pensiero cristiano attorno al 500 d.C.). Il pensiero illuminista non ha mai meditato a fondo su questo e ha semplicemente preso a prestito dalla tradizione aristotelico-tomista i concetti intorno all'umanità semplicemente de-teologizzandoli con leggerezza. La formulazione dei diritti fondamentali dell'uomo è un concetto teologico pretestuosamente reso laico, ma senza nessuna meditazione.

Ragione per la quale oggi, di fronte alle sfide concettuali del pensiero biologico e alle sfide dei limiti delle risorse, tutto il pensiero politico-morale di stampo illuminista (liberale e socialista) è in irrimediabile difficoltà rispetto al pensiero cristiano neo-tomista che a sua volta è in frontale opposizione al pensiero biologico e scientifico in genere. Pensa anche solo alla concezione secondo cui la scienza deve essere sottomessa all'etica quale sua ancella (accettato passivamente quasi da tutti), in contrasto al fatto che invece è la scienza/tecnica ad illuminare la realtà con luce tale che l'etica deve confrontarsi con fatti talmente nuovi da frantumarsi in mille posizioni piene di conseguenze paradossali.

Se fallisce, come io penso sia fallito, il tentativo illuminista (poi degenerato nell'idealismo) di ricondurre alla assolutezza della ragione la logica e la fisica dei comportamenti, se la individuazione della "natura aristotelica" viene spostata dall'essere una prerogativa degli "esseri secondo la loro specie" al meccanismo fisico che li genera mediante un processo evolutivo, come spiega Darwin, allora decade l'affidabilità di ogni ragionamento morale quale siamo abituati ad intendere. Esso si trasforma al più in pura arte retorica che può funzionare o no, ma solo in relazione alla costituzione storica dell'altro da sé. Cioè siamo di fronte all'incontrollabile manifestarsi del nemico, dove nemico è colui che agisce in difformità dall'imperativo di ragione quale io soggetto penso di aver determinato, ma che non è più assoluto di ragione, come sperava Kant. Cioè risulta vano e inaffidabile postulare, o peggio pensare che esista a priori, un criterio che consenta di individuare in modo assolutamente intersoggettivo un sottoinsieme detto lecito tra i comportamenti fisicamente possibili. Caduto il timor di Dio e soggettivizzata la ragione, resta la fisica, che è affidabile. E lo è in virtù della caratteristica del suo costituirsi come scienza: modifica e confina la teoria pilotandola con l'osservazione dei fenomeni.

In contrasto all'apparato concettuale neo-tomista e illuminista infatti si situa il pensiero biologico che parte da Darwin e che mette in radicale discussione quasi ogni formulazione dell'apparato concettuale dai greci in poi (ad esempio ogni formulazione di pensiero giuridico e politico ad eccezione delle categorie del VOLER fare e del SAPER fare, unicamente limitati dai vincoli fisici da una parte e dal volere arbitrario dei soggetti agenti dall'altra). Per esempio, esso distrugge il concetto di "essere umano" inteso come entità sostanziale irriducibile. Al concetto di "esseri di specie separata" e perciò dotati di caratteristiche invarianti (cosa su cui si basa tutta l'etica normativa e la fondazione del diritto) contrappone la visione della vita come un processo fisico in cui è poco sensato identificare "essenze immutabili" dotate di una "specifica natura" da cui derivare un dover essere secondo la loro "natura" (dove NATURA ha il senso aristotelico di sostanza che non varia e a cui l'essere in questione deve tendere per una qualche legge intrinseca al suo essere). Insomma la identificazione del concetto di legge come nomos della comunità col concetto di legge come regolarità del mondo non tiene più, in prospettiva darwiniana.

Cioè, in pratica, il pensiero biologico mostra come intrinsecamente inaffidabile il pensiero basato sui presupposti del razionalismo greco applicato ad entità macroscopiche come gli "esseri umani" considerati dotati di unica "natura", perché, ad esempio, considera sempre possibile, anzi normale, un processo di isolamento e divergenza di gruppi a partire di un gruppo omogeneo. Ciò è equivalente a ripartire da prospettive pre-mitiche e preistoriche per quanto riguarda la fondazione del pensiero politico e giuridico. Questo stravolgimento di prospettiva è sostenuto dalla potenza argomentativa del pensiero fisico-biologico moderno. Non importa se di fatto accadrà o no che si formino e si differenziono gruppi. Però si sa che questa è una risposta evolutiva possibile, anzi frequente, in condizioni di risorse limitate. Si sa che questo è il meccanismo che produce adattamento degli organismi ad un ambiente che varia per qualsivoglia ragione.

Il pensiero fisico-biologico esplora le condizioni di vincolo entro cui si possono manifestare le preferenze. Non specifica le preferenze. Cioè uno può benissimo preferire e adottare una concezione che assume inviolabili i diritti fondamentali dell'uomo così come sanciti da opportuna dichiarazione di auspicio. Ma dice anche che se tale dichiarazione di auspicio implica una dotazione di risorse materiali che non ci sono, allora sarà l'auspicio di realizzare una società con diritti umani ad essere rimosso o alterato e non presupporrà invece che la mancanza delle risorse verrà miracolosamente risolta. In altre parole, anche le concezioni etiche praticate sono soggette a selezione naturale in funzione della situazione contingente. Sembra un ragionamento banale, ma è sovente dimenticato da chi generalizza discorsi sui "valori universali", come ad esempio chi generalizza il carattere salvifico della mano invisibile del mercato o della distribuzione egualitaristica delle risorse in nome della giustizia, tanto per citare in modo semplificato due posizioni contrapposte che si rilevano facilmente.

La "selezione naturale" non è la mano invisibile del mercato che intendeva Adam Smith, ma è invece una cosa molto più generale che non ha alcuna finalità né tantomeno inclina verso l'equilibrio. Essa incombe sempre, indipendentemente da tutto il resto, come incombe sempre la forza di gravità. Si tratta di una regolarità algoritmica che incombe e si applica ad ogni interazione tra entità fisiche che si riproducono con variazione casuale in un contesto con limiti di risorse, contesto che può, a sua volta, variare casualmente.

Tutto ciò non è ininfluente rispetto a come affrontare la lettura dei fenomeni che ci circondano e in particolar modo la lettura dei comportamenti, come quelli economici, che costituiscono il substrato materiale della sopravvivenza. Limitando la cosa al confronto odierno tra culture diverse e condizioni di partenza diverse, noi occidentali, che ora ci riproduciamo poco e che per vivere dissipiamo molta energia che non abbiamo, partiamo con brutte carte in questa gara per la sopravvivenza.

Nella fattispecie, vorrei farti riflettere sul fatto che noi occidentali (Europa + USA + paesi satellite = circa meno di 1 Miliardo di persone a diminuire) stiamo oggi usando energia che in gran parte non abbiamo per fare servizi a noi stessi e progressivamente stiamo perdendo la capacità di produrre i manufatti con cui ripagare in termini reali quell'input di risorse reali (principalmente petrolio da bruciare per nostri bisogni: per spostarci insensatamente ogni giorno per attività di dubbia necessità, per scaldarci abbastanza insensatamente, per alimentare insensatamente attività terziarie incomprensibili, per oziare insensatamente, ecc.). Parlo della capacità tecnica materiale che impiega le persone di una certa area geografica con la struttura urbanistica, normativa, culturale di cui si è andata dotando nel passato e con una popolazione progressivamente resa incompetente di quella cultura materiale per produrre cibo e manufatti in condizioni di ristrettezze. Tutte cose che non si modificano in 2 giorni. Non parlo dell'attuale controllo finanziario di quella capacità in mano a poche persone. Parlo della struttura materiale che tiene lontano dalla fame la maggioranza dei cittadini e consente di evitare (o posporre) guerre civili.

Anzi, io penso che quella capacità di produrre manufatti di scambio la abbiamo già persa completamente a favore dell'Asia (Cina+India = circa 2.5 miliardi di persone a crescere). Siamo infatti ormai praticamente ridotti ad essere provvisori terminali di vendita a noi stessi (ma non ad altri!) di manufatti asiatici e alla disperata e patetica difesa di marchi e di fantomatici diritti d'autore e brevetti. Ciò vuol dire aver già perso, o almeno aver già diffuso, il know-how relativo a quei prodotti, cioè il know-how di quasi tutto quello che usiamo (scarpe, computer, stampanti, elettronica varia, tessile, utensileria minuta, auto, meccanica, e prestissimo anche aeronautica e utensileria grande e infrastrutturale e biotecnologia). Ricordo che i libri di fisica, chimica, biologia, informatica, matematica, ingegneria e saper fare in genere sono di pubblico dominio e acquistabili e riproducibili a poco prezzo; inoltre l'intelligenza è uniformemente distribuita sul pianeta. A fronte di questa situazione siamo importatori netti di enegia per nostro uso interno con cui a stento produciamo letteralmente il nostro cibo e la nostra sanità sovvenzionandoli con giri di carte.

A ciò aggiungi il fatto che i governi di Cina e India (io penso con intelligente premeditazione: "Non importa se il gatto è bianco o nero: l'importante è che acchiappi i topi") stanno tenendo al loro interno un gradiente di condizioni di miseria in modo da avere serbatoi di mano d'opera a buon mercato come garanzia per controllare rivendicazioni di stampo sindacale interno. In ogni caso hanno quel gradiente e lo possono usare come risorsa che è dentro i confini di uno stesso sistema di governo (cioè è all'interno dei confini di un'area dove agisce uno stesso apparato militare e istituzionale).

Ora, quanto può durare una simile situazione con le residue risorse petrolifere mondiali eventualmente al di fuori dei confini dell'occidente e in mano ad un grande Califfato Islamico (o istituzione equivalente dal punto di vista del controllo politico dei flussi di petrolio e abitata da 1 miliardo di potenziali guerrieri islamici) senza che il valore delle nostre monete occidentali crolli più o meno di botto? E una volta crollato, come mangiamo, con una infrastruttura urbana, normativa, e occupazionale adibite ad attività di terziario per far quasi nulla, a quel punto, e con una popolazione deprivata di competenze agricole e tecnico-industriali diffuse e con poca energia? Come si evitano guerre civili o il sorgere di velleitari nazional-socialismi in condizioni simili? Abbiamo già fatto simili esperimenti da Weimar in poi. Ma allora le condizioni generali erano molto meno critiche, squilibrate, pericolose, massicce e minacciose di ora. Il Peak Oil ci mette di fronte ad una cosa che nessuno ha mai visto per dimensioni e sconquasso. Ragionamenti sull'impatto dei limiti li ho fatti qui [1] e qui [2]

Cosa fare? Forse cercare di ridurre in modo strutturale su larga scala il fabbisogno di energia (ad esempio disincentivando con ogni mezzo il movimento quotidiano di milioni di persone) e aumentare la produzione di energia non da petrolio all'interno dei confini, ma può essere rischioso e poco pagante dal punto di vista politico. Chi metterebbe in agenda politica la promessa di gestire impoverimento reale rispetto al presente? Si elegge chi promette buona sorte, non chi annuncia sventure.

Ci abbiamo lavorato tutti per 30 anni, facendoci quasi la fame, a questa visione di una società con tecnologia a bassa intensità di energia. Abbiamo tutti seguito l'intuizione geniale di Lorenzo Matteoli su questa visione. Ci hai lavorato tu con la tua azienda, ci hanno lavorato molti comuni amici e conoscenti. Ci hanno lavorato in migliaia in giro per il mondo a partire dallo shock petrolifero del '73. Ci ha lavorato persino lo US Department Of Energy. Intanto in questi 30 anni il mondo si è fumato un quarto dello stock di petrolio rendendo oggi il bicchiere mezzo vuoto con una popolazione in crescita esponenziale e con consumi procapite crescenti per grandi numeri. Ci abbiamo lavorato, forse con ingenuità illuministica, ma arrivava sempre qualcuno a dire che di petrolio ce n'era un mare. Durante un workshop guidato da Lorenzo dove si discuteva di low energy tech (mi pare fosse il '79 o '80 alla SOGESTA), ricordo un tale di Stanford che si aggirava per il workshop agitando Shadows of Oil Surplus, un paper fatto con modellini econometrici. Modellini pieni di matematica raffinata, a mascherare poco sale in zucca a nascondere lo scarso radicamento fisico dei numeri prodotti. Garbage in, garbage out: massima sempre dimenticata da chi si scorda che la matematica è un linguaggio e non il mondo fisico. E quel tale di Stanford aveva pure ragione, rispetto al concetto di lungo termine usato per i ragionamenti econometrici (2-5 anni).

Peccato che la sostituzione di un parco auto prende 15-20 anni, ed è frutto di decisioni progettuali iniziali che restano congelate per tutta la durata del parco. Analogamente la conversione della dotazione ingegneristica di una economia prende 50-100 anni, se consideri anche il parco edilizio che si beve ora circa 1/3 della conversione energetica di una nazione occidentale. Altro esempio di inerzia ingegneristica di una economia: la costruzione degli impianti per lo sfruttamento idroelettrico in Italia è durata almeno 40-50 anni (diciamo dal '25 al '70), e a costruirli ora forse ci si impiegherebbe pure di più. Etc. Cioè si fa lo slalom tra le rocce con una nave che sterza in 20 Km con visibilità a 50 m o meno.

Cosa fare? Penso non si possa fare niente. Sono meccanismi troppo grandi perché qualcuno possa pensare di farci qualcosa. Siamo aumentati di numero sul pianeta seguendo la curva del petrolio; moriremo per calare di numero seguendo la curva del petrolio. Faremo più o meno come fa una colonia di batteri dotata di uno stock fisso di cibo. Seguiremo più o meno la curva a campana del Peak Oil con una certa sfasatura: all'inizio la curva cresce esponenzialmente, poi flette, picca, e si inverte. Infatti se si scrive e risolve l'equazione differenziale per quella colonia di batteri confinata si ottiene una curva a campana. Non metterei la mano sul fuoco sui risultati che si ottiene, perché è complicato valutare il grado di chiusura del sistema (ingresso di nuove fonti, etc.). Ma la visione che se ne ha è sicuramente più attendibile di quella che continua a parlare di crescita dell'economia del tot% all'anno. Solo un pazzo può pensare una crescita esponenziale di un sistema fisico in qualche modo confinato proiettata indefinitamente nel futuro. Prima o poi qualcosa si rompe o il sistema trova delle condizioni fisiche limitanti.

Ma questi ragionamenti sono ragionamenti globali, a scala macro, mentre si agisce sempre solo a scala micro. La massima "Think globally, act locally" ovvierebbe questo problema, ma sappiamo che non funziona per ragioni Darwiniane. Succede l'opposto: "Think locally, act globally", nel senso che i comportamenti messi a punto su scala locale si diffondono per imitazione (cultura), se localmente mostrano di essere efficaci. Cioè si aspetta sempre che cominci qualcun altro a cedere per primo. Insomma è un casino.

Nel frattempo possiamo consolarci con un bello shampoo al profumo di idrogeno, come predica il vate Jeremy Rifkin a sinistra e a destra (così Ignazio La Russa: "Rifkin è anche un po' nostro", sentendosi scavalcato a sinistra da Giovanna Melandri). Poi saliamo sul ferrarino e andiamo a mangiare slow-food all'università-osteria di Carlin Petrini, che con la ricerca avanzata di slow-food sa già come salvare l'Africa. Va da sé che avendo così salvato l'Africa, salvare il resto del mondo sarà uno scherzo.

Non so davvero cosa si possa fare. Forse so fare solo Cassandra. Cerco di scrostare e ripulire concetti. Forse lo faccio in modo rozzo e impreciso, ma faccio quello che riesco a fare con i miei limiti.

 


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